Il rapimento di Anabel Segura, durato quasi tre anni, ha scosso profondamente la Spagna e rappresenta uno dei sequestri più inquietanti della storia moderna. La tragica vicenda, che culminò con la morte della giovane studentessa, è ora al centro della docu-serie “900 giorni senza Anabel”, in uscita su Netflix il 22 novembre. Scopriamo i dettagli di questa storia che ha tenuto un’intera nazione col fiato sospeso.
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La scomparsa di Anabel Segura: il 12 aprile 1993
La mattina del 12 aprile 1993, Anabel Segura, studentessa universitaria di Economia e Commercio di 22 anni, uscì per fare jogging come d’abitudine nel quartiere residenziale di La Moraleja, a Madrid. Durante il percorso, vicino alla Scuola Scandinava, un furgoncino bianco iniziò a seguirla.
Uno degli uomini scese dal veicolo, avvicinandosi rapidamente alla giovane. Nonostante la sua resistenza, Anabel venne costretta a salire sul furgoncino e i sequestratori iniziarono a vagare per la città. Il loro obiettivo? Contattare i genitori della ragazza, noti per la loro posizione economica privilegiata. Tuttavia, la famiglia di Anabel non era a Madrid in quei giorni, complicando i piani dei rapitori.
Quella sera stessa, Anabel venne portata in una fabbrica di mattoni abbandonata nei pressi di Toledo, dove fu legata con una corda e strangolata. Il corpo venne poi sepolto tra i rifiuti.
I sequestratori e il riscatto: un caso mediatico
I responsabili del crimine erano Emilio Muñoz Guadix, un 38enne disoccupato del settore trasporti, e Cándido “Candi” Ortiz Aón, idraulico di 35 anni. Nonostante l’omicidio, i due uomini decisero di proseguire il piano, fingendo che Anabel fosse ancora viva per ottenere un riscatto.
La sera del 14 aprile, chiamarono la famiglia Segura chiedendo 150 milioni di pesetas in cambio della liberazione della ragazza. Il rapimento di Anabel divenne immediatamente un caso mediatico di rilevanza nazionale. La popolazione spagnola seguì con angoscia gli sviluppi del sequestro, amplificati dalla copertura giornalistica costante.
I sequestratori, tuttavia, non si presentarono agli appuntamenti fissati per il pagamento. Quando la famiglia richiese una prova che dimostrasse che Anabel fosse ancora viva, la moglie di Emilio, Felisa, registrò un messaggio audio per simulare la voce della ragazza. La registrazione fu trasmessa in televisione, e persino la polizia si rivolse al pubblico per ottenere aiuto nell’identificazione della voce.
La svolta nelle indagini: il nastro audio
Un elemento decisivo per l’identificazione dei colpevoli fu l’analisi del nastro audio. Nel sottofondo della registrazione si udivano bambini con accento di Toledo, un dettaglio che attirò l’attenzione degli investigatori. Inoltre, un ascoltatore riconobbe la voce di Emilio Muñoz Guadix.
Le informazioni coincidevano perfettamente: Emilio era originario di Toledo, aveva lavorato nel quartiere di La Moraleja e viveva con sua moglie e i figli. Il 28 settembre, Emilio venne arrestato e confessò non solo il rapimento ma anche l’ubicazione del corpo di Anabel.
Le condanne e le conseguenze
Nel 1999, Emilio Muñoz Guadix fu condannato a 43 anni di prigione, mentre sua moglie Felisa ricevette una pena di due anni e quattro mesi per occultamento di prove. Emilio uscì di prigione nel 2013 grazie all’abrogazione della dottrina Parot, una normativa che limitava l’applicazione delle riduzioni di pena in Spagna.
Cándido Ortiz, il complice, morì in carcere a causa di una malattia durante il periodo di reclusione.
Il drammatico caso di Anabel Segura è stato fonte di ispirazione per la docu-serie Netflix “900 giorni senza Anabel”, che analizza i dettagli del rapimento, la lunga ricerca della verità e l’impatto che questo evento ha avuto sulla società spagnola.
La serie sarà disponibile in streaming a partire dal 22 novembre 2024 e promette di offrire una narrazione avvincente e dettagliata della vicenda, arricchita da interviste, documenti originali e testimonianze dirette.