La storia di Margot Wölk è rimasta sepolta per decenni, fino a quando, nel 2012, pochi mesi prima di morire, la donna rivelò di essere stata una delle quindici assaggiatrici di Adolf Hitler.
Costrette dalle SS a testare il cibo del Führer per scongiurare eventuali avvelenamenti, queste donne vivevano ogni pasto nell’angoscia che potesse essere l’ultimo. La testimonianza di Margot Wölk ha ispirato la scrittrice italiana Rosella Postorino nel romanzo Le assaggiatrici (2018), ora trasposto sul grande schermo dal regista Silvio Soldini.
Il film, in lingua tedesca, affronta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di chi, pur non impugnando armi, si è trovato intrappolato in un sistema di oppressione e violenza.
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Le assaggiatrici di Hitler: la trama del film
Autunno 1943. Rosa Sauer, una giovane donna berlinese, si rifugia nel piccolo villaggio dei suoceri, vicino al quartier generale di Hitler, per sfuggire ai bombardamenti della capitale. Ma la tranquillità apparente del luogo nasconde un pericolo: ogni giorno, Rosa e altre donne del paese vengono prelevate dalle SS per assaggiare i pasti destinati al Führer, così da verificare che non siano avvelenati.
L’angoscia di morire si mescola alla fame, mentre tra le assaggiatrici si sviluppano amicizie, rivalità e segreti. Rosa fatica a farsi accettare dal gruppo, ma tutto cambia quando un ufficiale delle SS comincia a provare interesse per lei. Divisa tra la paura e un’insolita attrazione, Rosa si trova a confrontarsi con il lato più oscuro della sopravvivenza: è possibile provare desiderio per chi ti tiene in ostaggio? Quanto si è disposti a sacrificare pur di restare vivi?
La storia vera di Margot Wölk
Margot Wölk nacque a Berlino nel 1917 e, all’inizio della guerra, lavorava come segretaria. Nel 1941, un bombardamento la costrinse a rifugiarsi nel villaggio di Gross-Partsch, nell’allora Prussia orientale. Lì, le SS la obbligarono a diventare una delle assaggiatrici di Hitler, portandola ogni giorno in una caserma dove testava i pasti preparati per il dittatore. Il terrore la accompagnava a ogni boccone: Hitler non mangiava fino a un’ora dopo l’assaggio, per assicurarsi che le donne non avessero mostrato sintomi di avvelenamento.
Le cose cambiarono drasticamente il 20 luglio 1944, dopo il fallito attentato contro Hitler da parte del colonnello von Stauffenberg. La repressione che seguì fu feroce, e alle assaggiatrici fu vietato di tornare alle loro case. Margot Wölk fu trasferita in un edificio scolastico e, in quel periodo, subì violenze da parte delle SS. Poche settimane dopo, con l’Armata Rossa ormai vicina, riuscì a fuggire grazie all’aiuto di un ufficiale tedesco. Tornata a Berlino, venne catturata dai sovietici e subì ulteriori abusi durante la prigionia. Solo nel 1946 riuscì a ricongiungersi con il marito Karl, con cui visse fino alla morte di lui nel 1980.
Per decenni, Margot non parlò della sua esperienza, finché nel 2012 un giornalista tedesco la convinse a raccontare la sua storia.
«Mi ci è voluto molto tempo per tornare a godere del cibo», confessò, liberandosi di un peso che aveva portato con sé per tutta la vita.
Dal libro al film: la voce delle donne nella guerra
Rosella Postorino, nel suo romanzo Le assaggiatrici, si ispira alla vicenda di Margot Wölk per raccontare la guerra dal punto di vista delle donne, spesso vittime silenziose di conflitti decisi dagli uomini. La protagonista del libro, Rosa Sauer, si ritrova in un piccolo esercito senza armi, costretta a sacrificare il proprio corpo per una causa che non ha scelto. Il film di Silvio Soldini porta questa storia sullo schermo con una narrazione intensa, che esplora il conflitto interiore della protagonista e il sottile confine tra colpa e necessità.
In un contesto di oppressione e paura, Le assaggiatrici non è solo un racconto di guerra, ma una riflessione sulla sopravvivenza, sulla fame e sul potere che condiziona le scelte umane. Rosa e le altre assaggiatrici vivono ogni giorno in bilico tra la vita e la morte, costrette a una routine crudele in cui il cibo, fonte di nutrimento, si trasforma in una possibile condanna. Un paradosso che, attraverso il romanzo e il film, ci porta a interrogarci su cosa significhi davvero sopravvivere.